Infortuni muscolari nello sportivo

Gli infortuni muscolari nello sportivo sono eventi molto frequenti sia a livello amatoriale che agonistico, con una percentuale variabile dal 10% al 40% a seconda dello sport praticato. Anche la localizzazione dell’infortunio è fortemente condizionata dal tipo di sport. Dal punto di vista classificativo esiste nella pratica clinica una certa confusione, sia di metodo che di terminologia (stiramento, elongazione, lesione, strappo, distrazione..) che spesso genera “incomprensioni” tra gli Specialisti che si occupano di questi infortuni. Gli infortuni muscolari, secondo le più recenti classificazioni (Maffulli 2019, Muller-Worhfahrt 2013), vengono suddivisi in due categorie a seconda del meccanismo di insorgenza: traumi diretti e traumi indiretti. Gli infortuni da trauma diretto sono determinati da una contusione oppure da una lacerazione ed interessano più spesso il ventre muscolare. Gli infortuni da trauma indiretto avvengono senza contatto con l’avversario o attrezzi contundenti e si localizzano più spesso a livello della giunzione mio-tendinea. Vengono suddivisi, a loro volta, in due sottogruppi:

  • Infortuni non strutturali (o funzionali)
  • Infortuni strutturali (o anatomici)

Infortuni con alterazioni non strutturali (o funzionali). Sono gli infortuni più frequenti, caratterizzati da edema muscolare localizzato o diffuso senza lesione anatomica delle fibre. Le cause principali sono i sovraccarichi funzionali, legati a carichi eccessivi o scorrette sedute di allenamento. Si suddividono in 4 sottogruppi:

  • Il gruppo 1A è causato da fatica muscolare; l’1B da un eccessivo numero di esercitazioni eccentriche (denominato anche DOMS);
  • I gruppi 2A e 2b sono causati invece da disordini neuromuscolari, a partenza rispettivamente dal rachide (2A), come i disturbi intervertebrali minori (DIM, secondo Maigne), oppure causati da uno sbilanciamento nel controllo neuromuscolare a livello del muscolo (2B).

Infortuni con alterazioni strutturali (3A, 3B, 4): questi infortuni sono certamente i più temibili e presentano una prognosi generalmente più lunga; sono caratterizzati da una lesione anatomica delle fibre muscolari di entità variabile, sempre accompagnata da versamento ematico. Quasi sempre il meccanismo lesivo consiste o in una brusca contrazione degli antagonisti, oppure in una rapida e potente contrazione a partire da una fase di rilassamento del muscolo. I danni anatomici, a seguito di traumatismo, possono interessare oltre che le fibre muscolari anche le strutture vascolari, tendinee e connettivali di sostegno, generando possibili complicanze. In letteratura sono ben codificati i fattori predisponenti gli infortuni muscolari. Infatti risultano predisposti a patologia i muscoli bi-articolari, quelli a prevalenza di fibre veloci (tipo II), i muscoli che lavorano eccentricamente, i muscoli con deficit di flessibilità e quelli con esiti di precedenti lesioni. Inoltre predispongono a lesione le temperature estreme, lo scarso riscaldamento e un eccessiva tensione emotiva. Secondo la nostra esperienza, oltre ai fattori citati, risulta molto importante il grado di collaborazione tra lo staff medico e quello tecnico, soprattutto nel rispetto dei tempi di recupero per ridurre al massimo l’incidenza di recidive. Inoltre, le caratteristiche dello sport moderno con aumento della velocità e dell’intensità di gioco, ricorso sempre più diffuso a soluzioni tecnico–tattiche esasperate e avvii di stagione affrettati, hanno determinato il notevole incremento degli infortuni muscolari negli ultimi anni, tanto che, ad esempio nel calcio, rappresentino la 1a causa d’infortunio. Il trattamento degli infortuni muscolari prevede un adeguata diagnosi, seguita da un corretto approccio terapeutico e dal rispetto dei tempi di recupero. Infatti le complicanze delle lesioni muscolari (incidenza 10-15%) sono spesso conseguenti ad un errata diagnosi o ad uno scorretto trattamento. Quelle più frequenti sono fibrosi post-traumatiche, falde liquide, cisti siero-ematiche, miositi ossificanti, calcificazioni, recidive di lesione e più raramente le tromboflebiti.

TRAUMI DIRETTI

Contusione: La contusione frequente negli sport di contatto (calcio, rugby, football americano, basket, hockey…) è provocata da un trauma diretto come un contrasto od una collisione. Nella maggior parte dei casi provoca unicamente edema ed infiammazione dei piani sottocutanei. Nei traumi più intensi può provocare rottura delle fibre muscolari soprattutto nei livelli sovrastanti i piani ossei con formazione di versamento o ematoma. Se la fascia muscolare rimane integra l’ematoma si sviluppa all’interno del muscolo (intramuscolare) con tumefazione immediata e possibile insorgenza di sindrome compartimentale. Se la fascia viene lesa l’ematoma si localizza tra i muscoli (intermuscolare) e la tumefazione compare dopo 24-48 ore. Vi sono poi delle forme miste. La contusione determina dolore e tumefazione con ecchimosi localizzata che in genere non impedisce di proseguire l’attività ma a causa dell’ematoma e della contrattura post-traumatica esita in una limitazione funzionale di varia entità, in base alla quale la contusione è classificata in lieve se residua oltre il 50% dell’articolarità, moderata se l’escursione è ridotta a meno del 50%, severa se è ridotta a meno di 1/3. La sede di contusione è correlata al tipo di sport praticato. Negli sport di contatto sono più frequentemente coinvolti coscia e polpaccio, in particolare il vasto laterale e mediale ed i gemelli. Il ritorno allo sport avviene in un tempo variabile tra 2-20 giorni.

TRAUMI INDIRETTI

Crampo: Il crampo nello sportivo è una contrazione muscolare involontaria e transitoria, espressione di uno stato di “affaticamento” del muscolo stesso. L’origine del crampo è spesso multifattoriale ed è provocato da un deficit idro-salino ed energetico. L’insorgenza è facilitata dalla scadente condizione atletica dell’atleta, dalla insufficiente idratazione, dal clima caldo umido e dalla tensione emotiva.  L’atleta avverte, generalmente nelle fasi terminali della prestazione atletica, una repentina e dolorosa contrazione muscolare, che perdura per alcuni secondi e che tende a risolversi spontaneamente. Facilitano la risoluzione del crampo manovre di allungamento mio-fasciale e l’idratazione con bevande idrosaline.

Infortunio tipo 1 A (la “vecchia” Contrattura): rappresenta un alterazione diffusa del tono muscolare, imputabile ad uno stato di affaticamento del muscolo per l’accumulo di cataboliti tossici, come lattato ed ammonio, senza lesioni anatomo-patologiche macro o microscopiche. Ha una maggiore incidenza in atleti sottoposti a sovrallenamenti o viceversa poco allenati. Si manifesta con dolore mal localizzabile che compare generalmente a distanza dalla prestazione sportiva (1-24 ore circa). Clinicamente vi è un ipertono muscolare con eventuale presenza di “cordone muscolare” palpabile e dolente. Solitamente il test in allungamento passivo del muscolo è maggiormente positivo rispetto alla contrazione contro resistenza. La ripresa agonistica avviene generalmente nell’arco di 3-5 giorni.

Infortunio 1 B (DOMS): DOMS è l’acronimo di delayed-onset muscle soreness e rappresenta l’effetto di lesioni a livello microscopico, in particolare delle miofibrille muscolari. Ha una maggiore incidenza in atleti poco o male allenati e durante allenamenti particolarmente intensi a componente prevalentemente eccentrica. Si manifesta con dolenzia muscolare diffusa ad un muscolo o più gruppi muscolari, accompagnata da ipostenia, che insorge entro 24 ore dalla prestazione e persiste per almeno 48-72 ore, risolvendosi poi spontaneamente. In genere si accompagna un aumento di CPK e LDH sieriche. I test di pressione manuale, allungamento passivo e contrazione contro resistenza sono debolmente positivi. La ripresa agonistica avviene in 5-7 gg.

Infortunio tipo 2 B (il “vecchio” Stiramento): L’infortunio tipo 2B dal punto di vista anatomo-patologico rappresenta un alterazione funzionale del muscolo a livello microscopico senza interruzione di fibre. Si presenta con dolore spesso ben localizzato che compare durante l’attività sportiva e che costringe l’atleta ad interrompere la prestazione sportiva, pur non dando generalmente un impotenza funzionale immediata. All’esame obiettivo il muscolo si presenta ipertonico e con una zona localizzata dolente e dolorabile alla palpazione. Solitamente il test di contrazione contro resistenza è maggiormente positivo rispetto a quello in allungamento passivo del muscolo. In genere l’atleta riprende l’attività dopo 5-7 giorni.

Rottura fibre muscolari con ematoma in lesione 3B

Infortunio Strutturale (Il “vecchio” strappo): Questo tipo di lesione, espressione di trauma indiretto, è l’evento più temibile. Esso consiste nella rottura di un numero variabile di fibre muscolari, sempre accompagnato da stravaso ematico di entità dipendente dalla gravità e dalla localizzazione della lesione. La rottura può essere parziale o completa, con il conseguente distanziamento dei monconi. Si manifesta con dolore acuto e vivo, corrispondente ad un preciso gesto tecnico, che impedisce all’atleta di proseguire la prestazione sportiva. Generalmente tutti i test clinici sono positivi. Si classifica in tre gradi, a seconda della quantità di tessuto muscolare lacerato:

  • 3A: rottura di poche fibre muscolari all’interno di un fascio ma non dell’intero fascio.
  • 3B: rottura di uno o più fasci muscolari che coinvolge meno del 50% della sezione del muscolo.
  • 4: rottura che coinvolge più dei 50% della sezione del muscolo in quel punto fino alla rottura totale.

Secondo l’ultimo aggiornamento delle linee guida ISMuLT, le lesioni strutturali vengono suddivise anche in prossimale (P), media (M) e distale (D) a seconda della localizzazione topografica e miofasciale (MF), miotendinea (MT) e tendinea (T) a seconda del tessuto interessato.
L’infortunio più frequente è il 3A (~58% degli strappi) seguito dal 3B (~39%) e dal 4 (~3%). Il recupero allo sport avviene in un tempo variabile tra 15 giorni a 3-4 mesi, a seconda del muscolo interessato e della gravità della lesione.

DIAGNOSI: La diagnosi si fonda su criteri anamnestici e sintomatologici supportati dall’esame obiettivo e dall’ecografia, eseguita almeno 24-48 ore dopo il trauma per consentire una migliore valutazione della presenza o meno di stravasi ematici. L’ecografia è indagine di primo livello per lo studio dell’apparato muscolo-tendineo sia come diagnosi iniziale,  ma anche come valutazione del follow-up terapeutico. L’esame ecografico, eseguito con sonde lineari ad alta frequenza (7.5-10 MHz), è metodica non invasiva che si esegue in tempo reale, sia in condizione di base che in contrazione e con la possibilità di valutare il distretto contro-laterale. Può, inoltre, guidare procedure di agoaspirazione, di drenaggio e di iniezione di medicamenti. L’ecografia è però esame fortemente operatore dipendente ed è buona norma che venga preceduta da inquadramento anamnestico e clinico, con riferimento allo sport praticato, localizzazione e modalità di comparsa del dolore. La Risonanza Magnetica (RMN) è indagine di secondo livello perché ad alto costo, di limitata disponibilità, che necessita di un tempo elevato per l’acquisizione delle immagini e senza la possibilità di effettuare uno studio dinamico. Risulta utile nello studio di muscoli particolarmente piccoli e profondi e come completamento diagnostico in caso di dubbio all’esame ecografico. La Risonanza Magnetica inoltre è in grado di individuare accuratamente l’edema muscolare nel caso di infortuni muscolari senza lesione di fibre.

Complicanze:

  • Fibrosi: Sono più frequenti nei traumatismi indiretti. l’esame ecografico può evidenziare un area irregolarmente iperecogena nella sede di lesione. La fibrosi cicatriziale è in grado di influire negativamente sulla proprietà contrattile del muscolo e sulla sua elasticità, determinando alterazioni funzionali.
  • Cisti siero-ematica: si evidenzia come una formazione anecogena, con rinforzo acustico posteriore, delimitata da un orletto iperecogeno al cui interno si rilevano, a volte, aree iperecogene.
  • Miosite Ossificante e calcificazioni: La miosite ossificante è una massa circoscritta di tessuto di granulazione che, con il  tempo, può ossificare per un processo di metaplasia ossea del muscolo. Si evidenzia con maggior frequenza a seguito di traumi contusivi ed in prossimità della corticale ossea. La calcificazione è un una deposizione di sali di calcio in un tessuto molle. È un fenomeno frequente nelle aree muscolari traumatizzate, che generalmente è reversibile con il riassorbimento dei sali depositati. In alcuni casi, in particolare in presenza di fibrosi ed in soggetti predisposti, la deposizione di sali di calcio può portare a vere e proprie calcificazioni, che non vengono riassorbite se non stimolate. L’esame ecografico non è in grado di distinguere le calcificazioni dalle ossificazioni muscolari. Entrambe sono caratterizzate  da immagini  iperecogene irregolari, con cono d’ombra posteriore. In questi casi risulta utile un esame radiografico, a complemento diagnostico.
  • Ernia muscolare: La rottura di un aponevrosi muscolare può generare una parziale erniazione delle fibre muscolari sottostanti, che si evidenzia bene all’esame ecografico con la contrazione attiva.
  • Tromboflebite: Si evidenzia con chiarezza all’esame eco-color-doppler dove si apprezzano formazioni ipoecogene rettilinee o serpiginose, non collassabili alla compressione e dolenti.

TRATTAMENTO: Tra gli infortuni muscolari l’evento più temibile è, senza dubbio, lo strappo muscolare. Il trattamento di uno strappo muscolare si differenzia a seconda dell’entità della lesione e della fase clinica, suddivisa in acuta (della durata di 3-7 giorni), subacuta e della guarigione. Nelle prime ore della fase acuta (24-72 ore) si consiglia il cosiddetto protocollo RICE. Questo protocollo prevede l’applicazione di bendaggio compressivo, lo scarico dell’arto interessato, la crioterapia ed il riposo. Successivamente si introducono gradualmente la massoterapia decontratturante, lo stretching, gli esercizi di mobilizzazione passiva ed attiva e le terapie strumentali. Quest’ultime sono consigliate per così dire a “freddo”, in quanto il calore, se introdotto troppo precocemente, può generare fastidiose complicanze come fibrosi e calcificazioni. In questa fase si consigliano quindi la crio-ultrasuonoterapia, l’elettroterapia antalgica e la laserterapia a bassa potenza.

In fase subacuta (dopo 4-8 giorni dal trauma) si possono introdurre le terapie con il calore per determinare iperemia e biostimolazione profonda. Le più utili sono la termoterapia endogena (diatermia capacitiva ed ipertermia) e la laserterapia ad alta intensità. Si associano esercizi di rinforzo muscolare progressivamente più impegnativi, esercizi attivi e graduali per il recupero dell’articolarità, stretching attivo globale e segmentale, esercizi propriocettivi statici e dinamici. Il rinforzo muscolare prevede la classica progressione partendo da esercizi isometrici, isotonici ed infine eccentrici e pliometrici. Il rinforzo eccentrico è molto importante perché favorisce l’allungamento dell’unità muscolo-tendinea, aumenta la produzione di fibre collagene e la loro disposizione lungo la direzione del carico. In fase subacuta risulta molto efficace l’idrochinesiterapia in vasca terapeutica, da alternare alla rieducazione in palestra. La spinta idrostatica consente di effettuare esercizi con minor carico e di accelerare il recupero del carico stesso e delle capacità aerobiche. Inoltre le caratteristiche termiche dell’acqua delle vasche terapeutiche favoriscono la risoluzione del dolore, delle contratture, il recupero dell’articolarità e del tono-trofismo muscolare segmentale e globale. Inoltre, aspetto da non trascurare, l’acqua fornisce un notevole supporto psicologico e motivazionale all’atleta.

La fase della guarigione è volta al ricondizionamento cardio-polmonare attraverso il lavoro aerobico con corsa sul campo a velocità crescente ed anaerobico lattacido (allunghi e ripetute) ed alattacido (scatti e balzi) ed al recupero del gesto atletico con esercizi sport-specifici, al fine di un ritorno rapido e sicuro alla prestazione sportiva. In questa fase vengono proseguite le terapie strumentali con il calore (diatermia ed ipertermia) allo scopo di prevenire DOMS e contratture e migliorare l’elasticità della cicatrice neoformata. Molto importante, nei mesi successivi al rientro all’attività, è la prevenzione delle ricadute da effettuarsi attraverso il proseguimento degli esercizi di propriocezione, di potenziamento eccentrico e pliometrico, le posture di stretching e l’allenamento aerobico.